by Emanuela Vacca Copyright
PROLOGO
Tornano le avventure di Padre Fronimo Verri, l’Inquisitore dell’eretica pravità di Milano severo e inflessibile. Questa volta il nostro inquisitore sarà alle prese con un omicidio che avverrà nella basilica paleocristiana di Sant’Eustorgio a Milano.
Siamo nel 1492, un anno molto importante per la storia del mondo. Si entra ufficialmente nel periodo d’oro del Rinascimento con la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, ma la vita a Milano, come in molte altre Signorie e Stati italiani, ha ancora di fatto un’impronta fortemente medievale. Il ducato di Milano è retto dagli Sforza, con Ludovico il Moro. Al convento di Sant’Eustorgio, sito nel cuore della città e sulla strada che termina con la Porta Ticinese, vive la grande comunità dell’Ordine dei Padri Predicatori di San Domenico ed è sede del Tribunale dell’Inquisizione e del Sant’Uffizio. La basilica risale, il primo nucleo, intorno al 300 dopo Cristo ed è stata migliorata e ampliata dall’opera dei domenicani stessi che vi si insediarono nel 1220.
Qui si tenevano i processi agli eretici e per stregoneria ed era un centro di riferimento per tutta la Lombardia.
Sono ormai quasi due secoli che i domenicani sono ospiti del complesso conventuale, ma il loro tempo sta per finire, infatti un’altra comunità, ben più gradita al duca Ludovico si sta imponendo. Sono i domenicani Osservanti che interpretano la regola di San Domenico in modo diverso dai Conventuali, primi seguaci di San Domenico.
I disordini cominciano presto, ma i conventuali di Sant’Eustorgio hanno armi con cui difendersi e un piccolo esercito di cavalieri Crocesignati che vivono al convento. I Crocesignati di Milano sono una Confraternita di quaranta uomini provenienti da famiglie facoltose che hanno giurato fedeltà all’Inquisitore e rispondono solo a lui. Sono esenti da pene e ammende e lo Stato su di loro non ha potere. Girano per le città armati e spesso creano problemi, ma l’Inquisitore che è una figura molto potente e risponde solo al Papa, li protegge. Al convento vivono anche i “famigli”, persone assoldate dai vescovi o dai religiosi e scelte tra commercianti o provenienti da ambienti umili. Entrano a far parte dell’entourage del convento con ruoli di aiuto e di protezione. Sia i famigli che i crocesignati non prendono i voti. Infine vi sono i conversi e i novizi, anche essi ruotavano intorno al complicato mondo dei convento.
In questo contesto storico si inserisce la morte improvvisa di un Padre Predicatore. Un uomo di cultura addetto alla lettura dei libri proibiti dalla Chiesa. Libri che entreranno a far parte del famoso “index librorum proibitorum” , un indice creato dal Santo Uffizio, organo dell’inquisizione, che condanna o assolve manoscritti di scienza, arte e filosofia.
In una brutta sera d’inverno viene trovato morto padre Raniero da Pontirolo, ucciso nello stesso modo di San Pietro Martire, domenicano anch’esso, con un colpo di accetta conficcata nel cranio. Toccherà a Fronimo tirare le fila dei complicati e non sempre chiari comportamenti dei confratelli e di coloro che ruotano attorno alla comunità religiosa. Per la seconda volta il religioso si improvviserà investigatore e questo lo porterà a ritrovare il suo amore mai dimenticato, Isobel e ad incontrare Fiammetta, un’herbana che ha salvato dal rogo.
Intrighi e colpi di scena in un susseguirsi movimentato di azioni di cappa e spada, porteranno Fronimo a mettere in crisi la sua fede in Dio e riveleranno che il medioevo non è mai stato quel periodo buio e incolto che molti ci vogliono far credere.
CAPITOLO I
Era là, in fondo alla sala, il corpo addossato alla statua di S. Pietro Martire, la testa rigidamente atterrata sulla caviglia di legno, il saio immacolato un campo di sangue scuro, e la testa..la testa colpita da una ferita mortale. Un’immensa scure aveva aperto il cranio di padre Raniero. Gli occhi spalancati sembrava fissassero ancora il volto dell’assassino, la sua furia e l’odio. Lo stupore che albergava negli occhi cerulei del frate, lentamente fattisi vitrei, era privo di paura ma colmo di un sordo dolore, come di un profondo amore profanato, improvvisamente tradito.
Fronimo, in piedi sulla pedana in legno che ospitava gli scanni delle sedute inquisitorie, le mani infilate nelle maniche, fissava il corpo inerme di quello che era stato il suo migliore amico, il suo mentore e maestro. Immobile e impassibile, il volto fermo, solo una lieve contrazione della mascella faceva percepire l’estrema tensione – Padre, è uno di noi. È qui dentro – E finalmente distolse lo sguardo che andò a conficcarsi come uno stiletto nell’animo del confratello. Il povero Priore, padre Uberto, teneva le mani giunte sul cuore, incapace di proferire verbo.
Erano venuti a chiamarlo a compieta, le otto di sera, un forte bussare l’aveva distolto da cupi pensieri. Se ne stava inginocchiato di fronte alla finestra della cella, il volto tra le mani, i capelli ricci un tempo neri, ora brizzolati, cadevano ribelli nascondendo il volto affilato e severo. La mascella e i pugni serrati nello spasimo del dolore per le fustigate appena inflittesi. Invano martoriava il corpo nella speranza di un po’ di pace, i pensieri continuavano a tornare, ad accanirsi nella sua anima disperata. La porta si era lentamente aperta e il piccolo frate entrando aveva fissato come incantato la schiena nuda dell’inquisitore segnata dalle vergate sanguinanti
– Padre, dovete venire, subito – ansimò. L’uomo di chiesa, si voltò di scatto, lo sguardo feroce contro chi aveva osato distrarlo dalla sua penitenza
– Da quando si entra senza bussare! Che volete! – abbaiò. Il giovane rimase impietrito
– Scusate fratello, non sentivate, ma vi prego, dovete venire subito – Fronimo ci mise un po’ a mettere a fuoco il volto di chi parlava. La fronte imperlata di sudore freddo, pareva dovesse svenire da un momento all’altro.
– sono occupato, non vedete! – e siccome l’altro non parlava, si decise ad alzarsi. Barcollò pericolosamente, il passo malfermo, urtando contro la parete della cella angusta. La statura imponente gli faceva dominare qualunque ambiente e metteva soggezione a chiunque si trovasse al suo cospetto, ma il giovane non sembrò intimorito e corse a sorreggerlo
- “vi sentite bene?” e si precipitò a sorreggerlo
- “lasciami!” Fronimo lo scostò bruscamente “dimmi ti chi ti manda”
- “Il priore” fu come se la parola gli avesse fatto scattare una molla interna.
- “aspetta fuori. Sarò pronto in un attimo”
Scesero le strette scale in pietra che dalle celle portavano al chiostro. Ad attenderli c’era un uomo dal saio immacolato, di età indefinibile, i capelli imbiancati scendevano lunghi e lisci sulle spalle magre, un po’ ingobbite. Nello sguardo aveva una luce particolare, una luce che difficilmente si scordava e che sottometteva senza sforzo. Uomo di fede, certamente, profondamente comprensivo, dotato di una mitezza che ammansiva anche i lupi. La rudezza dell’inquisitore poco poteva contro un muro di pacatezza dell’anziano Padre Uberto e si trovava ad essere schiavo della gentilezza d’animo del responsabile di tutta la congregazione di Milano, dell’Ordine dei Padri Predicatori che aveva sede nel complesso addossato alla Basilica di Sant’Eustorgio. Il convento domenicano sorto secoli addietro, dopo l’erezione della basilica.
– Padre, mi avete mandato a chiamare. Cosa succede – disse non senza un pizzico di disappunto
– Fratello Fronimo, si, e mi scuso per l’urgenza, ma vi assicuro, non avrei potuto evitarlo, nemmeno volendolo. Venite – disse con la solita serenità – è successa una cosa orribile – Non lo vide subito entrando nella sacrestia, dovette percorrerla in tutta la sua ampiezza. Il corpo era nascosto dal grande frattino, dietro il quale erano allineate perfettamente le alte sedie dei giudici e degli inquisitori. Si bloccò solo a pochi metri, vedendo il saio scomposto e l’uomo a terra. Passò molto tempo prima che riuscisse a proferire parola. – L’ha trovato il converso che è venuto a chiamarvi. – Triste destino, pensò Fronimo, e gli occhi fissarono l’enorme squarcio che fratello Raniero aveva nel cranio, un moto di rabbia impotente gli alterò i lineamenti
– Non vi ricorda nulla questa morte? – Certo, pensò il domenicano, l’orrenda fine dell’Inquisitore di Milano, San Pietro Martire, morto per mano di due sicari catari. Ad avallare il macabro rituale il corpo si trovava proprio ai piedi della statua del Santo – Padre Uberto, non dovete far entrare alcuno in sacrestia, devo analizzare attentamente il corpo, la posizione e prelevare alcune cose – Poi buttando un occhio al converso – Potete concedermi l’aiuto di fratello Virgilio? – Il Priore non sollevò obiezioni e aggiunse – fate tutto ciò che serve, sono angustiato per la nostra comunità, come faremo a tenere occultata la morte del nostro….- sussurrò, la voce incrinata.
Erano arrivati entrambi al convento dopo il dottorato in teologia, frate Raniero era un appoggio, una fiaccola di fede per molti, un’anima buona con una profonda cultura alle spalle. Entrambi avevano visto aprirsi le porte della sede domenicana di Milano nel 1492 dopo una breve permanenza a Roma, in Santa Maria della Minerva. A Fronimo fu affidata l’analisi dei testi proibiti, lavoro che aveva imparato ad apprezzare nel soggiorno romano. Raniero da Pontirolo ricopriva il delicato incarico di vicario inquisitore, ma di tanto in tanto, si offriva di aiutarlo nella cernita dei libri che sarebbero finiti nell’ “index”.
S. EUSTORGIO

Nel 1220 fu assegnata ai domenicani, giunti a Milano ed in cerca di una sede e nel 1227 viene definitivamente sancito il loro possesso della Basilica.
Il nuovo insediamento domenicano raggiunse in breve tempo grande popolarità sia per esser stato uno dei conventi dei frati predicatori di fondazione più antica (San Domenico era ancora in vita), sia per l’attiva predicazione dei frati contro l’eresia, che dovette essere assai efficace se già nel 1228 papa Gregorio IX elesse il convento milanese a sede dell’Inquisizione lombarda.
Ai frati fu affidato l’incarico di nominare gli inquisitori contro gli eretici.
Nel convento avevano sede due confraternite (la “societas fidelium”, con incarichi relativi all’Inquisizione, e la congregazione della Vergine), lo “studium logicae” e lo “studium philosophiae moralis”.
Sant’Eustorgio gestiva altresì un ospedale, testimoniato a partire dal XII secolo, che passò nel 1227 alla canonica di San Lorenzo insieme al capitolo.
SALA DEL TRIBUNALE e Appartamento dell’Inquisitore
Salito lo scalone in pietra grigia, abbellito da quadri di papi e inquisitori che avevano preceduto l’attuale, si accedeva al primo piano. Lateralmente c’era una saletta che metteva in comunicazione con le celle dei frati. Quivi era posto un piccolo altare con appoggiato sopra un crocifisso in legno. Su un tavolinetto spiccavano alcune bacchette di nocciola nera che servivano per l’assoluzione di colpe lievi e attendevano i malaugurati penitenti. In un armadio nero e grande si custodivano le carte relative al Sant’Uffizio e di fianco, l’Archivio Inquisitoriale. Al primo piano, si snodava anche la biblioteca decorata da numerosi quadri, uno in particolare rappresentava la diocesi del Sant’Uffizio, Sant’Eustorgio con la basilica e il lato esterno del complesso conventuale. La biblioteca era ricca di manoscritti, comprendeva le decretali di Innocenzo IV, un gridario generale e il Cathalogus Chronologicus fidei quaesitorum Mediolani che cominciava dal 1218. Dalla biblioteca si passava nel piccolo studio dell’inquisitore che fungeva anche da luogo di riposo. Sul suo tavolo spiccava un grosso volume intitolato Il Direttorio, compilato sulle corrispondenze della Sacra Congregazione di Roma. Giacevano accatastati numerosi manoscritti che costituivano un fondo speciale delle opere presentate per l’imprimatur. In un angolo della camera non mancava, necessario alla difesa personale, un archibugio a fuoco accanto al cassone del letto. Di fianco al suo studio si apriva, immenso e minaccioso, il salone delle udienze che si presentava in tutta la sua severa austerità di un vero tribunale. Sulla porta d’ingresso del Sant’Uffizio si leggeva a grandi caratteri neri: Sanctissimae Inquisitionis Tribunal. Il soffitto era scuro a cassettoni. Dalle pareti pendevano grandi quadri dalle cornici in legno scuro e contornati in oro, raffiguranti padri domenicani vissuti lì. Tutt’intorno, addossate alle pareti, “careghe” e seggioloni, scanni e canapé. Il consiglio sedeva intorno al lungo frattino, davanti al crocifisso che pendeva dal soffitto sul loro capo al della sala. Ai lati sedevano i cancellieri o i notari, o gli avvocati del reo. Vi erano diversi ingressi alla sala che erano curati dai famigli o dai Crocesignati che facevano da guardie nei processi. Una piccola scala serviva per accedere indisturbati al piano sottostante dove si usciva da una porticina nel chiostro. Questo passaggio quasi segreto, serviva sia all’inquisitore per uscire a riposarsi passeggiando nel chiostro, sia per portare gli imputati ammanettati, dalle carceri. I mobili che arredavano il piano erano cassapanche, sedie e poltrone armate, scanni, armari e armadietti, genuflessori, cassoni, commode, cantere di noce, testiere e tamburini. Su tutte le pareti comparivano i ritratti di cardinali, papi e inquisitori. Sulle scansie libri e carte geografiche. Nel lato nord si aprivano le celle dei Padri domenicani che facevano parte del consiglio, le celle erano allocate sopra l’infermeria e il refettorio. Nel chiostro piccolo, si svolgeva quasi tutta la vita del convento, fatta eccezione per la sala del capitolo, ubicata nel primo complesso, a fianco della sacrestia, dove la mattina ci si riuniva per riceve le istruzioni della giornata e la sera si leggeva il capitolo.
SALA CAPITOLARE
Ambiente impostato ad quadratum. Dopo la basilica e il chiostro è certamente il luogo più importante. In questa sala si concludeva ogni giorno l’ufficio con la lettura del Martirologio, con le rogazioni sui lavori dei campi e con la lettura di un capitolo della Regola di San Domenico. In essa si tiene il capitolo delle colpe durante il quale i monaci si accusano spontaneamente delle mancanze pubbliche contro la regola. Vi si svolgono anche le riunioni comunitarie come l’elezione degli inquisitori e del Priore, l’ammissione al noviziato, gli acquisti e le vendite dei terreni e tutti i problemi di una certa importanza. Il capitolo rappresenta il primo esempio di democrazia effettiva in cui viene dato a tutti i monaci il diritto di esprimere liberamente il proprio parere su tutte le questioni che riguardano la comunità. “Tutte le volte che in monastero si devono trattare questioni importanti, l’abate convochi la comunità, esponga di che si tratti e udito il consiglio dei fratelli, consideri la cosa dentro di sé, e faccia quel che giudicherà più utile.
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